Il viaggio di Enea
Cosa è l' "Eneide"
Un poema epico di 12 libri in esametri scritto tra il 29 e il 19 a.C, sotto l'Impero di Ottaviano Augusto, dal poeta latino Publio Virgilio Marone che racconta del viaggio di Enea principe troiano voluto da Giove per fondare nel Lazio una nuova Troia da cui possa discendere un popolo destinato dal fato a dominare il mondo.
Cosa è un poema epico
La parola significa "racconto" (epos) "in poesia" (poema). È quindi una narrazione in versi. Il termine indica quelle ampie narrazioni in versi sorte nelle antiche civiltà che narravano le imprese, storiche o leggendarie, di un eroe o di un popolo, mediante le quali si conservava e tramandava la memoria e l'identità della civiltà stessa.
Questi testi erano prodotti da cantori, gli aedi o i bardi, e recitati pubblicamente. Circolarono a lungo in forma orale e per questo presentano elementi che ne favoriscono la memorizzazione. Solo in un secondo momento vennero trascritti.
Cosa è l'esametro
L’esametro dattilico o esametro eroico, spesso chiamato semplicemente esametro, è il più antico e il più importante tipo di verso in uso nella poesia greca e latina, usato in particolar modo per la poesia epica o poesia didascalica. E' un verso formato da sei piedi (esapodia) dattilici (maggiormente composti da una sequenza di una sillaba lunga e due brevi _uu) di cui l'ultimo manca di una sillaba finale (catalettico), risultando quindi di due sillabe secondo lo schema: _u.
Il proemio dell'Eneide vv. 1-33
Il proemio in generale è la parte introduttiva di un poema, di un trattato, di un'orazione, di un discorso; il termine presuppone un notevole impegno letterario e stilistico.
Nel proemio o protasi dell'Eneide troviamo indicati:
1) L'argomento o materia del poema (1-7). Le prime parole del proemio dicono che il poeta intende cantare, cioè narrare in poesia, le armi e l'eroe, cioè le battaglie e l'eroe Enea, principe dei troiani, che fuggendo da Troia raggiunse l'Italia, di quante peregrinazioni costui dovette compiere per mare e per terra a causa della volontà avversa di Giunone, e di quante guerre dovette combattere prima di poter fondare Lavinio e portare gli dei nel Lazio da cui proviene la razza latina e la nascita della superba Roma.
2) L'invocazione alla Musa (8-11). 3) L'antefatto (12-33). Fra tutte le città Giunone prediligeva la forte e bellicosa Cartagine: qui la dea pose le armi e il carro, e qui, se gli dei lo avessero permesso, avrebbe voluto collocare la sede del dominio del mondo. Ma ella sapeva che dal sangue troiano sarebbe discesa una stirpe che avrebbe distrutto la sua amata città, ed era molto spaventata da ciò. Inoltre ripensava alla passata guerra combattuta da lei stessa contro i Troiani accanto ai Greci, e di certo non le sfuggivano i motivi che l'avevano spinta a parteggiare per questi ultimi: un troiano, Paride, aveva considerato Venere la più bella tra le dee; poi, sempre una troiana, Antigone, figlia di Laomedonte aveva osato sfidarla reputandosi più bella di lei; ancora, lo stesso Dardano, fondatore di Troia, era nato da una relazione adulterina tra Elettra e Giove; infine di nuovo un troiano, Ganimede, era stato preferito da Giove come coppiere al posto di sua figlia Ebe . Per tutti questi motivi Giunone temeva ancora quei pochi superstiti che si erano salvati dall'incendio di Troia lontano dall'Italia.
Il proemio dell'Eneide (ver. originale in latino)
Arma virumque cano, Troiae qui primus ab orisItaliam, fato profugus, Laviniaque venit
litora, multum ille et terris iactatus et alto
vi superum saevae memorem Iunonis ob iram;
multa quoque et bello passus, dum conderet urbem,
inferretque deos Latio, genus unde Latinum,
Albanique patres, atque altae moenia Romae.
Musa, mihi causas memora, quo numine laeso,
quidve dolens, regina deum tot volvere casus
insignem pietate virum, tot adire labores
impulerit. Tantaene animis caelestibus irae?
Il proemio dell'Iliade (trad. Vincenzo Monti)
«Cantami, o Diva, del pelide Achille
l'ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di Giove
l'alto consiglio s'adempìa), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de' prodi Atride e il divo Achille.»
Il proemio dell'Odissea (trad. Ippolito Pindemonte)
Musa, quell’uom di moltiforme ingegno Dimmi, che molto errò, poich’ebbe a terra
Gittate d’Iliòn le sacre torri;
Che città vide molte, e delle genti
L’indol conobbe; che sovr’esso il mare
Molti dentro del cor sofferse affanni,
Mentre a guardar la cara vita intende,
E i suoi compagni a ricondur: ma indarno
Ricondur desiava i suoi compagni,
Che delle colpe lor tutti periro.
Stolti! che osaro vïolare i sacri
Al Sole Iperïon candidi buoi
Con empio dente, ed irritaro il Nume,
Che del ritorno il dì lor non addusse.
Deh parte almen di sì ammirande cose
Narra anco a noi, di Giove figlia, e Diva.
Iliade, la guerra di Ilio (Troia)
Antefatto - La storia e l'antefatto
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.